Foto e testi di Daniela Cavini
ROMA – ‘Bastardino’. Figlio illegittimo nato dall’unione clandestina di una coppia già sposata (con altri). Bimbo sballottato fra “donne inviperite e uomini cialtroni”. Franco Zeffirelli è senz’altro il più illustre fra i 500.000 bambini passati attraverso l’Istituto Innocenti di Firenze, azienda da secoli in prima fila per l’assistenza all’infanzia abbandonata.
Una partenza tutta in salita per il grande regista, autore di kolossal famosi nel mondo: figlio di N.N., una girandola di madri che spariscono, di uomini che lo rifiutano. Di coppie clandestine, liquide, che gli fanno corona. Un passato di amore cercato e negato, sempre in bilico, sempre sull’orlo di un nuovo distacco. Una perenne incertezza sul futuro, che lo spinge ad abbarbicarsi al presente, a diventare genitore di se stesso. A ricordare la casa della vecchia balia come l’unico rifugio sicuro.
Oggi, 91 anni compiuti, Gianfranco Corsi Zeffirelli vive in una splendida dimora sull’Appia Antica, a Roma, recintato dall’affetto di Pippo e Luciano, i due figli adottivi. E dalle foto degli amici di una vita, la Callas e Pavarotti, Liz Taylor, Coco Chanel. C’è l’intero Novecento sul pianoforte del salone, da Bob Kennedy alla regina Elisabetta, da Palo VI a Hillary Clinton: una selva di cornici d’argento da perdercisi dentro. E naturalmente Luchino Visconti, sempre lui, solo lui. L’uomo “a cui dovevo tutto, l’uomo che amavo: era un conservatore rinascimentale, poi si è messo a fare il rivoluzionario, ha scelto una compagnia che non mi piaceva…”.
Non sta bene, Zeffirelli. Un’infezione alla gamba, i postumi di un antico incidente mal curato. Un po’ di bronchite, la voce è flebile. “Mi sento un’aquila atterrata”. Ma non può resistere a mettersi in posa, a scegliere il lato migliore per l’obiettivo. “Sono sempre un gran vanesio”. Anche il tuffo nella memoria non gli è difficile. I ricordi affiorano, incessanti. Portatori di un dolore carsico che si è scavato un solco nel fiume della vita, e può sfociare nel mare della vecchiaia con un distacco garbato, a tratti tagliente. Talvolta la voce s’incrina, quasi si perde. ‘E’ la bronchite, che diamine’.
Maestro, partiamo da suo padre, Ottorino Corsi. Riformato alla leva militare, schiva la grande guerra, si dedica a commerciare stoffe e fa’ fortuna. E’ sposato ed ha una figlia. Poi incontra sua madre.
Mio padre mi ha sempre fatto un po’ paura. Aveva più amanti che capelli in testa, è rimasto per tutta la vita un gran puttaniere. Devo avere chissà quanti fratelli sparsi nel mondo… Era sempre a caccia, di donne più che di animali. Gli piaceva la campagna. Ricordo che quando dovevo incontrarlo, il sabato pomeriggio, mia zia mi vestiva bene. Per me era un signore che alla fine della visita mi lasciava una moneta e se ne andava. Non riuscivo a chiamarlo ‘babbo’, non sapevo cosa dirgli. Il suo mondo mi era estraneo.
Però alla fine le ha dato il suo cognome.
Mi riconobbe tardi, dopo la morte di sua moglie, quando le mie zie lo convinsero che doveva pensare al mio futuro. Avevo 19 anni, non mi sentivo suo erede. Mi ritrovai fra le mani questo cognome, Corsi, ma non sapevo bene cosa farmene. Era stata mia madre ad inventare Zeffirelli, non volevo separarmene. Ma la legge diceva un’altra cosa. Più tardi riuscii a farmi aggiungere sul passaporto ‘in arte Zeffirelli’.
Le donne della sua infanzia sono tante, praticamente ha avuto tre madri.
La mia mamma naturale, la balia Ersilia, mia zia Lide…. Sì, tante e memorabili. Ma io riempivo il loro vuoto, ero ciò a cui si aggrappavano. Mia zia non poteva avere figli, riversò il suo amore su di me. Le sono grato, se non era per lei, non so che fine avrei fatto. Mia madre sperava di ricostruire una nuova famiglia intorno a me, che ero l’unico figlio maschio di mio padre. Faceva assurde fantasie su un divorzio che non sarebbe mai avvenuto.
Alaide Garosi Cipriani ha un famoso negozio di moda in centro a Firenze e tre figli da un avvocato sempre un po’ malaticcio. E’ una donna coraggiosa, per mettere al mondo lei sfida una società ipocrita e perbenista.
Ha tenuto testa a una città intera. Tutti lo sapevano, il bimbo nel suo grembo non poteva essere del marito, che si stava spegnendo in sanatorio. Seguì il feretro col pancione, vedova incinta di un altro uomo: si può solo immaginare lo scandalo.
E’ il 12 febbraio 1923, lei nasce alla maternità di via degli Alfani, a Firenze, e come figlio illegittimo di donna sposata, non può ricevere né il cognome della madre, né quello del padre.
Infatti sono ‘figlio di ignoti’, N.N. (nescio nomen, ndr). Ma c’era una regola, i cognomi degli illegittimi venivano scelti a partire da una lettera, a rotazione. In quei giorni era il momento della ‘Z’. Cosi mia madre suggerì che mi chiamassero ‘Zeffiretti’, da un’aria di Mozart da lei molto amata (l’Idomeneo ndr). Nella trascrizione, l’impiegato fece un errore, mise due ‘l’ al posto delle ‘t’. Cosi io divenni Zeffirelli. E lo sono rimasto. Un cognome unico al mondo.
Non potendo stare con sua madre, appena nato viene dato a balia.
Fui affidato ad Ersilia Innocenti, una contadina gentile che viveva in un paesino poco lontano da Firenze. Rimasi con lei per quasi due anni, ma ci tornavo anche dopo, durante le vacanze scolastiche: ricordo che mi levavo le scarpe e giravo scalzo, in casa, nei campi. Forse soltanto lì, con l’Ersilia, mi sono davvero sentito al sicuro. Tornare in quella casa per me era sempre un sollievo. Nel 1925 mia madre mi riprese con sé. Per lei cominciarono i guai. La gente la boicottava, nessuno voleva farsi fare i vestiti in un negozio cosi chiacchierato. Perse la clientela, dovette smettere di lavorare. Era anche il tempo della grande crisi… tutto intorno a lei si stava sfasciando. Si ammalò.
E suo padre?
Ho un vago ricordo dei loro litigi, quando lui veniva a trovarci. Ad un certo punto non si fece più vedere. Una notte eravamo già a letto, mia madre mi fece alzare, vestire, e mi trascinò nel buio da qualche parte, credo fosse la casa del babbo, in via dell’Oriolo. O forse era il palazzo del Club, in via del Proconsolo. Ricordo i due leoni di pietra dietro cui ci nascondevamo. Aspettavamo. Dopo un tempo eterno arrivò mio padre, mia madre si fece avanti, cominciarono a litigare, ad alzare la voce. Si scambiavano accuse feroci, insulti. Io ero come paralizzato. Qualcuno convinse mia madre a tornare a casa, lei era disperata. Ricordo che cadeva la pioggia, le si erano sciolti i capelli, il trucco le colava sul viso…. Era una maschera, lì, sotto la pioggia. Penso a questa scena come alla prima grande paura della mia vita.
Ad un certo punto sua madre si arrende, decide di lasciare Firenze.
Andammo a Milano, dove abitava la figlia maggiore, Adriana. Penso che mia madre volesse ricominciare da capo, tentare di rifarsi una vita. Ma era già malata di tubercolosi. Dopo pochi mesi morì: era il 1929, io avevo sei anni. Vennero a chiamarmi in classe, tutti mi guardavano. Lungo il percorso funebre tenevo qualcuno per mano, forse una suora, o un’insegnante. Salutai la bara con la mano, le feci ciao, come può fare un bambino ad un amico. Ero rimasto davvero solo. Per qualche tempo mia sorella mi tenne con sé e suo marito. Ma lui non mi voleva.
Così è rientrato a Firenze.
Ero figlio di nessuno, fui portato all’Istituto degli Innocenti. Di domenica le cugine di mio padre venivano a trovarmi, ricordo i calci e i pugni che tiravo alle porte quando le visite terminavano e loro se ne andavano. Volevo che mi portassero con sé. E cosi avvenne, dopo qualche mese fu zia Lide a prendermi. Lei non era riuscita ad avere figli, viveva con un uomo, anche lui già sposato, zio Gustavo, ufficiale di marina, padre di altri due ragazzi. Zia Lide e zio Gustavo mi accolsero a casa loro, un’altra situazione atipica e un po’ scandalosa. Pensandoci bene, sono sempre vissuto in mezzo a qualcosa che il resto delle persone non considerava ‘normale’.
Non è normale essere chiamato ‘bastardino’ all’uscita di scuola…
Quella era la moglie di mio padre. Venne una volta, avrò avuto otto o nove anni. Era lì, fuori dall’istituto, ricordo la sua veletta sul cappello, gli occhi cattivi. Mi seguì per strada, sibilando cose che non saprei dire, solo questa parola, ‘bastardo, bastardo’. Tornai a casa di corsa, terrorizzato. Chiesi spiegazioni alla zia, ma non volle dirmi nulla. Ho saputo solo dopo.
Come si è salvato da questa sorta di naufragio?
Mi sono buttato a costruire la mia vita, disegnavo, mi piacevano i monumenti, l’arte. Andavo a lezione di inglese da una signorina, Mary O’Neill, che mi insegnò ad amare Shakespeare. Mio nonno mi aveva trasmesso la passione per la musica. Avevo risorse cui attingere. Da qualche parte sentivo di essere forte, potevo farcela. D’altronde ognuno nasce con un bicchiere: quello che ci mette dentro dipende solo da lui, ed io ci ho messo dentro whisky tutto il tempo. Facendo una carriera spudorata.
Quanto ha inciso nella sua vita la mancanza di un padre?
La figura maschile è sempre stata per me un vero mistero: non sapevo chi chiamare papà, nessuno dei maschi che avevo intorno, a cominciare dal mio vero padre, voleva riconoscermi come figlio, o avere troppo a che fare con me.
Questo non le ha impedito di scegliersi dei figli, di diventare custode delle loro vite. Anche senza metterli al mondo.
Ho costruito la mia famiglia, la mia scuderia, attraverso il lavoro. Pippo e Luciano hanno il mio nome, li ho tirati su con i problemi che tutti i figli creano. Dei figli ‘veri’ non potrebbero essere migliori di loro. E poi ho avuto molti amici. Ma forse ho cambiato troppe madri, sono diventato diffidente. Ancora oggi, alla mia età, ad ogni offerta di affetto provo lo stesso imbarazzo di quando ero bambino: penso che non durerà.
Mi pare una intervista breve ma comunque interessante. Grazie
Una bella intervista: Zeffirelli e’ stato l’ultimo grande regista italiano, meritava almeno un Oscar per i suoi film. Peccato non sia riuscito a realizzare il suo progetto di un film su Leonardo & Michelangelo ambientato a Firenze